“L’animale morente", Philip Roth

Si parla di sesso in questo libro e a proposito di questo possiamo subito dire che le 113 pagine non sono poche, insomma non è una questione di misure: i soldi che avete speso in libreria o per questa copia della collana del Corriere, sono senz’altro ben spesi.

Roth riesce a colpire duro, offrendo una narrazione stimolante ed emotivamente carica senza un momento di riempitivo superfluo. Questo romanzo si legge dall’inizio alla fine tutto d’un fiato senza poter smettere se non girando l’ultima pagina.

Sesso dunque: quello a cui non può rinunciare un professore sessantenne sempre a caccia di carne giovane, le sue studentesse soprattutto, ma solo alla fine del corso, seguendo un’etica che potrebbe far sorridere i più.

 Una vera ossessione per il prof. Kepesh:

Per quante cose tu sappia, per quante cose tu pensi, per quanto tu ordisca e trami e architetti, non sei mai al di sopra del sesso. E questo è un gioco assai rischioso. Un uomo non avrebbe i due terzi dei problemi che ha se non continuasse a cercare una donna da scopare. È il sesso a sconvolgere le nostre vite, solitamente ordinate. Lo so io e lo sanno tutti.

L’altra ossessione è la vecchiaia, di più: l’idea della morte e quella voglia di sentirsi ancora in partita, di poter desiderare quello che desidera un giovane uomo; quella voglia di sentirsi liberi, di poter vivere senza legami, una volta tagliato quello precoce di un matrimonio dal quale era nato un figlio ora quarantenne.

L’incontro con la bella cubana Consuela Castillo è però in grado di sconvolgere questo suo mondo senza regole e questa volta quella carne fresca diventerà anche un tormento interiore, quello stesso tormento che di solito colpisce solo i giovani innamorati che soffrono per la paura di perdere il proprio amore.

Ero il gatto che guarda il pesce rosso. Ma i denti li aveva il pesce rosso

Una relazione che si interrompe improvvisamente lasciando il vecchio professore con la sua musica e le sue fantasie che riaffiorano attraverso desideri mai sopiti.

Quella donna, simile a un ritratto di Modigliani tornerà nella sua vita proprio con quella immagine, attraverso una cartolina di un’opera del MoMA:

Amedeo Modigliani, Reclining Nude (Nudo disteso), ca 1919. Museum of Modern Art, New York

Un nudo i cui seni, pieni e un po’ cascanti sul lato, avrebbero potuto essere copiati dai suoi. Un nudo rappresentato con gli occhi chiusi, difeso, come Consuela, da nient’altro che dal suo potere erotico e, come Consuela, elementare ed elegante a un tempo. Un nudo dalla pelle dorata inspiegabilmente assopito sopra un vellutato abisso nero che, nel mio stato d’animo, associavo alla tomba. Linea lunga e ondulata, lei è là distesa che ti aspetta, immobile come la morte.

Proprio come la morte. Quella giovane donna ritorna nella sua vita da malata, purtroppo di un male che lascia poche speranze alla guarigione, desiderosa di essere di nuovo desiderata come solo lui è stato in grado di fare, prima di dover affrontare un’operazione che le avrebbe tolto per prima la sua femminilità.

Un grido disperato lanciato alla vita che le stava sfuggendo, mentre quell’uomo una volta soggiogato dalla sua bellezza ora era combattuto tra il dovere di rispondere a una richiesta d’aiuto e la voglia di restarne lontano.

Mauro Monti
Latest posts by Mauro Monti (see all)

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *