No, non è spettacolarizzazione del dolore, è il voler partecipare alla vita del VIP, nella gioia e nel dolore. Far vedere che “Io c’ero”, ero lì e gli ho espresso tutto il mio dolore, per una perdita che è anche la mia perdita, un dolore che è anche il mio dolore. È il risultato dell’appiattimento, della notorietà data dal numero di follower, di visualizzazioni, di condivisioni, della mia storia personale che va su Instagram in parallelo a milioni di altre, senza incontrarle mai. Quel momento è il mio momento e quello che conta è solo il mio cellulare perché solo il mio cellulare registra la mia storia, non importa chi c’è intorno a me, non importa quello che possono pensare gli altri del mio gesto perché tutto il resto è al di fuori della mia storia. Forse me ne accorgerò dopo, quando qualcuno avrà postato il video nel quale chiedevo il selfie e allora mi vergognerò, un poco; leggerò i commenti, ma io volevo solo partecipare e oggi partecipare significa esserci, avere un po’ di notorietà nella mia storia.

Forse bastava un No. Certo è facile da fuori gestire emozioni non proprie ma alla domanda: possiamo farci un selfie? In quei casi credo si possa rispondere, senza passare per scortese, anche di No. O forse No?

Mauro Monti
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