Papa Francesco dà 3 patroni alla comunità de “La Civiltà Cattolica”: san Pietro Favre, padre Matteo Ricci e fratel Andrea Pozzo

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Papa Francesco e padre Antonio Spadaro

Il 9 febbraio del 2017, nella sala del Concistoro, Papa Francesco ha ricevuto in udienza la comunità de “La Civiltà Cattolica” giunta in Vaticano per consegnare nelle mani del Santo Padre il fascicolo numero 4000 del periodico. Un cammino lungo 167 anni che non è una semplice raccolta di carta – ha detto il Papa – ma una vita fatta di tanta riflessione, passione, lotte sostenute e contraddizioni incontrate. Anche questa volta come nelle altre tre occasioni nelle quali si è tagliato il traguardo dei mille numeri (con Leone XIII, Pio XI e Paolo VI), la comunità ha incontrato il Papa, e il Santo Padre ha voluto donare loro tre patroni, tre figure di gesuiti, ognuno associato ad una parola.

INQUIETUDINE – Solo l’inquietudine – ha detto Papa Francesco – dà pace al cuore di un gesuita. Senza inquietudine siamo sterili.E associato a questa parola, come patrono ha dato san Pietro Favre, uomo di grandi desideri, spirito inquieto, mai soddisfatto, pioniere dell’ecumenismo.

INCOMPLETEZZA – “Dovete essere scrittori e giornalisti dal pensiero incompleto – ha detto il Santo Padre – cioè aperto e non chiuso e rigido. La vostra fede apra il vostro pensiero”. E come figura di riferimento ha dato il servo di Dio padre Matteo Ricci che compose un grande Mappamondo cinese raffigurante i continenti e le isole fino ad allora conosciuti e che servì anche a introdurre ancora meglio il popolo cinese alle altre civiltà.

IMMAGINAZIONE – Il pensiero rigido non è divino – ha detto il Papa – perché Gesù ha assunto la nostra carne che non è rigida se non nel momento della morte. Chi ha immaginazione – ha aggiunto – non si irrigidisce, ha il senso dell’umorismo, gode sempre della dolcezza della misericordia e della libertà interiore. E come figura di riferimento ha dato fratel Andrea Pozzo che con l’immaginazione ha creato spazi aperti, cupole e corridoi, lì dove ci sono solo tetti e muri.

Ma qui si apre una doverosa parentesi, un suggerimento per andare ad osservare con i propri occhi quest’ultimo aspetto del discorso del Papa, quello dell’immaginazione, con due gioielli realizzati proprio dal terzo patrono, nella chiesa di S. Ignazio a Roma.

La costruzione della chiesa nata per solennizzare la canonizzazione di S. Ignazio di Loyola fu ultimata il 15 agosto 1685 ma senza cupola: i fondi, infatti, erano ormai finiti; allora il fratel Andrea Pozzo, che insegnava prospettiva nell’attiguo Collegio Romano, rimediò con una soluzione che ancora oggi stupisce i visitatori, anche quelli più attenti: in pochi mesi dipinse una grande tela circolare di 17 metri di diametro, che restituisce in maniera perfetta se osservata da un particolare punto indicato sul pavimento da un disco di marmo giallo, l’illusione prospettica di una cupola.

Ma il Pozzo dipinse anche uno dei più grandi affreschi del mondo, quello che occupa i 750 metri quadri della volta che con le sue straordinarie prospettive sembra aprirsi verso il cielo, popolato da una moltitudine di figure che solo con l’ausilio di un binocolo si riuscirebbe a distinguerle tutte. E tutta questa magnificenza fu compiuta in soli tre anni, operando su una superficie fortemente curva e irregolare, superando enormi difficoltà di prospettiva.

Coltivate nella vostra rivista lo spazio per l’arte, la letteratura, il cinema, il teatro e la musica – ha concluso il Santo Padre, aggiungendo che il pensiero della Chiesa deve recuperare genialità e capire sempre meglio come l’uomo si comprende oggi, per sviluppare e approfondire il proprio insegnamento. La vita non è un quadro in bianco e nero – ha aggiunto il Papa – è un quadro a colori, alcuni chiari e altri scuri, alcuni tenui e altri vivaci.

Leggi il discorso integrale di Papa Francesco

Mauro Monti
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